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Mangiacavalli: le carenze e le possibili soluzioni sui dati Censis-Istat

“La carenza è evidente, così come lo è la situazione difficile a livello generale, ma sicuramente a rischio, nelle Regioni in piano di rientro che rappresentano ormai a livello di popolazione oltre il 47% dei cittadini italiani. L’analisi dei dati rende evidente anche il gap sempre maggiore che esiste, perfino tra queste stesse Regioni, tra Nord e Sud e dal nostro punto di vista scatta un doppio allarme” è quanto afferma la Presidente Nazionale IPASVI Barbara Mangiacavalli a seguito dell’analisi dei dati Censis-Istat.

Il primo riguarda proprio i cittadini: studi internazionali hanno dimostrato che la mortalità aumenta con il diminuire degli organici infermieristici e in particolare un minor carico di pazienti per singolo infermiere permette la riduzione della mortalità dei pazienti del – 20%, se si portano da 10 a 6 i pazienti totali affidati a un singolo infermiere. E la situazione nel nostro Paese non è ottimale, con una media di 12 pazienti per infermiere, alcune Regioni (in piano di rientro) dove si raggiungono anche i 18 pazienti e solo cinque dove si hanno meno di 10 pazienti per infermiere dipendente.

Il secondo riguarda i professionisti, ma anche, ancora, i pazienti: turni massacranti si traducono in disturbi del sonno, problemi digestivi, stress, aumento di peso, malattie dell’apparato gastroenterico, effetti sulla sfera psicoaffettiva e disturbi cardiovascolari con un aumento del 40% del rischio di malattie coronariche. Ma i danni più subdoli sono quelli ai pazienti che del Servizio Sanitario hanno fiducia: la ridotta vigilanza può portare a errori clinici che possono compromettere il benessere del paziente. In uno studio relativo alle ore di lavoro degli infermieri per la sicurezza del paziente, i rischi di errori e gli errori sono aumentati quando gli infermieri hanno svolto turni straordinari oltre le 12 ore, incrementando 3 volte il rischio di cadere in errore e più del doppio il rischio di incorrere in un quasi – errore.

Appare evidente quindi che lo sblocco del turn e il reintegro degli organici non è più solo una richiesta legata all’organizzazione del lavoro, ma un’esigenza di salute sia per i cittadini che per gli operatori.

In questo senso un primo passo potrebbe essere, ad esempio, quello di assumere almeno 10mila unità in part time al 50%: servirebbero a garantire l’effettiva copertura di organici rispetto agli attuali part time, consentirebbero di cominciare a formare nuove leve di professionisti riavviando il ricambio generazionale e avrebbero sicuramente costi inferiori nell’immediato a unità di personale full time.

“Un “placebo” possibile – continua la Presidente Nazionale IPASVI –  per alleggerire seppure momentaneamente e non in via definitiva la situazione estrema nelle Regioni in piano di rientro sarebbe la mobilità volontaria che la legge – il decreto legislativo 90/2014, cosiddetta riforma della PA – concede, ma che aziende e Regioni “bloccano” non rilasciando i necessari nulla osta. A richiederla sono soprattutto le Regioni del Sud commissariate e ad aderire sarebbero gli infermieri di quelle stesse Regioni che per esigenze lavorative sono ormai da anni anche a migliaia di chilometri da casa, ma in questo modo non riescono ad aprire la via del ritorno. Nelle condizioni attuali del Servizio Sanitario Nazionale, le Regioni che ancora hanno un organico ai limiti dei requisiti organizzativi, fanno di tutto per mantenerlo tale e, quindi, rifiutano o quantomeno ignorano le domande di nulla osta per la mobilità. Al contrario, appunto, le Regioni sotto organico per i ripetuti blocchi di turn over tentano di incrementarlo, cercando soluzioni proprio con i bandi di mobilità extraregionali”.

Il nuovo contratto potrebbe dare soluzioni di qualche tipo alla questione della mobilità, anche se non immediate e comunque, a monte, resterebbero da risolvere tutti i problemi di organico nelle Regioni alle quali resterebbe il potere di nulla osta.

Poi ci sono altri passi importanti da compiere all’interno dell’attuale forza lavoro, come la stabilizzazione dei precari: per gli infermieri si tratta di almeno 11mila unità di cui poco più di 9mila sono gli infermieri a tempo determinato.

Per quanto riguarda il territorio, le ipotesi sono già contenute nelle risposte stesse che i cittadini hanno dato all’indagine Censis.

L’analisi dei risultati della ricerca, quindi, apre la strada a soluzioni che consentano agli infermieri, in particolare i più giovani, di fronteggiare l’erosione dell’occupabilità della professione cogliendo le innegabili opportunità di mercati in espansione, senza cadere nella subordinazione nei confronti di operatori dell’intermediazione già in movimento e capaci di utilizzare a proprio beneficio la potenza della propria funzione di “accoppiamento” tra domanda e offerta: occorre una intermediazione amica, cioè o espressione del protagonismo di infermieri e/o soggetti del mondo infermieristico o comunque evoluta nel puntare non solo sul low cost tariffario ma sulla qualità e personalizzazione delle prestazioni.

Al di là delle pratiche semilegali e a volte illegali di alcuni intermediari, di una imprenditorialità che estrae valore crescente schiacciando la remunerazione degli infermieri, è però lo stato reale del mercato con le caratteristiche di domanda e offerta di prestazioni infermieristiche a generare il potere contrattuale degli intermediari. Per questo grandi operatori capaci di gestire quote elevate di scambi di prestazioni annue possono comunque puntare a ridurre le tariffe delle prestazioni, contando sul valore legato ai grandi volumi. E l’esito non potrà che essere la riduzione della remunerazione degli infermieri, come accade in ogni mercato di compravendita di servizi e prestazioni.  Anche se l’intermediario è per gli infermieri garanzia di reperimento di un portafoglio clienti, di abbattimento di tempi e costi di autopromozione e di gestione amministrativa, è però troppo penalizzante il taglio delle remunerazioni e le negative condizioni di lavoro. Le retribuzioni crollano verso un valore medio di circa 7 euro l’ora e per alcune tipologie di prestazioni la quota dell’intermediario può arrivare addirittura ai due terzi del costo della prestazione per il cliente.

Le soluzioni che saranno attivate dovranno misurarsi con il cuore del problema: il mercato frammentato genera una domanda di matching (accoppiamento, appunto) che rende alto il potere contrattuale di chi la esercita, consentendogli di spremere valore dagli infermieri ai quali garantisce le prestazioni da erogare.

“Dalla ricerca Censis – conclude Barbara Mangiacavalli – emerge che le soluzioni dovranno sicuramente avere almeno due aspetti: un protagonismo di cultura e professione infermieristica e un intelligente utilizzo del digitale come strumento che scardina l’intermediazione tradizionale. Sul digitale però è indispensabile accelerare la messa in campo di soluzioni efficaci, altrimenti è alto il rischio per gli infermieri nel privato di passare da una intermediazione quasi premoderna come quella rilevata dalla presente ricerca ad una neointermediazione digitale con tutte le penalità emerse in altri settori dei servizi, da monopoli inscalfibili a indefinite piattaforme collaborative che concentrano il valore sugli intermediari digitali e schiacciano redditi e condizioni di lavoro degli altri”.

Il sommerso nel mercato delle prestazioni infermieristiche, invece, non ha carattere di eccezionalità, anche se va professionalmente e fiscalmente evitato e le soluzioni fin qui illustrate sono una strada per farlo: è una delle componenti dell’elevato e crescente sommerso di welfare, a sua volta parte integrante del nuovo sommerso di servizi e prestazioni su cui affluisce parte della bolla del risparmio delle famiglie italiane. Di fronte ad un bisogno stringente che non trova soluzioni adeguate nel pubblico, se non altro per tempi di accesso troppo lunghi, gli italiani utilizzano la flessibilità e rapidità di accesso che le risorse di cui dispongono gli consente. Per questo si muovono veloci, molto spesso tramite canali informali, e trovano un infermiere che reputano bravo (o chi giudicano in grado di erogare una prestazione infermieristica, rischiando in questo caso danni peggiori alla salute per mancanza di professionalità e qualità della prestazione), perché esperto e magari già occupato nel pubblico, e in quasi la metà dei casi dichiarano esplicitamente di avere concordato un pagamento in toto o in parte in nero.

E’ un modo per avere l’infermiere di cui si ha bisogno, spesso quello di propria fiducia, a tariffe convenienti, tagliate del carico fiscale. E’ l’equilibrio spontaneo di domanda e offerta di prestazioni infermieristiche che utilizza il sommerso per sanare gli squilibri del mercato ufficiale. Niente di eccezionale o di patologicamente specifico del mercato privato delle prestazioni infermieristiche, ma solo una variante del fenomeno cardine del nostro tempo: il nuovo sommerso. 

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