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Intervento della FNOPI sulla proposta di emendamento del tetto di spesa per il personale sanitario

La norma che rivede il tetto di spesa per il personale riferito al 2004 meno l’1,4% prevedendo il riferimento alla spesa 2018 a cui si aggiunge il 5% dell’aumento annuale del fondo sanitario rispetto all’anno precedente, è una norma che detta un principio diverso da quello che finora ha creato carenze di organico in tutte le Regioni, ma soprattutto in quelle in Piano di rientro, che hanno il compito di assistere circa il 47% della popolazione italiana e sono ormai tutte al Centro (il Lazio)-Sud. Rivedere il tetto di spesa tuttavia significa intervenire sulla spesa per il personale che però è una parte del problema: l’altra è il blocco del turn over che impedisce concorsi per far fronte alle carenze (da fare secondo una seria programmazione, è chiaro) e anche per la sostituzione di buona parte dei professionisti in quiescenza. Situazione che si aggrava nelle Regioni in piano di rientro”.

A commentare la proposta concordata tra Ministero della Salute e Regioni per abolire il tetto di spesa per il personale da anni fissato alla spesa 2004 meno l’1,4%, è Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini delle Frofessioni Infermieristiche (FNOPI), il più numeroso d’Italia con i suoi oltre 450mila iscritti.

“È anche una norma – prosegue – che seppure necessaria, e di questo va dato atto al ministro della Salute che per la prima volta ha rotto  il “muro della spesa 2004” come riferimento, senza lo sblocco totale e ragionato (anche per le Regioni in piano di rientro) del turn over funzionale all’attuazione di modelli organizzativi appropriati, efficienti ed efficaci, non può, almeno per ora, risolvere da un lato i problemi di carenza di organico esistenti e dall’altro dare garanzie a tutte le tipologie di professionisti tra quelli vincitori di concorso e i precari (soprattutto a tempo determinato, ma anche gli interinali) di trovare soluzione immediata al loro problema di inserimento nel Servizio sanitario pubblico”.

La norma infatti stabilisce come tetto quello della spesa 2018 del personale (non ancora disponibile per un calcolo esatto), già ridotto per effetto della legge che ha fissato il precedente riferimento alla spesa 2004 meno l’1,4% e con Regioni anche molto al di sotto di questo livello (soprattutto se in piano di rientro), mentre altre devono ancora raggiungerlo. Nel 2017, ad esempio, c’erano Regioni e/o province autonome che rispetto al peso percentuale della spesa di personale sulla spesa complessiva locale erano anche al di sotto dell’incidenza 2004 come il Molise, dove la spesa per il personale pesava nel 2017 il -9,3% rispetto al 2004, ma anche territori dove la spesa per il personale incideva ancora un po’ di più, come Bolzano con il +7,4 per cento.

A questa si aggiunge un incremento del 5% dell’aumento delle disponibilità annue del Fondo sanitario che l’ultima legge di bilancio ha indicato in 1 miliardo nel 2019, 2 miliardi nel 2020 e 1,5 miliardi nel 2021. Quindi aumenti pari a rispettivamente 50, 100 e 75 milioni.

A questi tuttavia – aggiunge Mangiacavalli – ha ragione il ministro, vanno aggiunte le risorse risparmiate da una stabilizzazione degli attuali internali che hanno un costo maggiore rispetto al personale dipendente di circa il 18% legato alla quota che va alle strutture che li mettono a disposizione. Il “pregio” di questo tipo di lavoro è che non grava sulla spesa per il personale perché viene contabilizzato in quella per beni e servizi e, quindi, salvaguardando almeno sulla carta finora il tetto di spesa 2004 ridotto dell’1,4% ha permesso a molte aziende sanitarie semplicemente di funzionare, perché senza personale, obbligo o non obbligo, garanzia o non garanzia di uniformità, i Livelli essenziali di assistenza resterebbero un’utopia scritta solo sulla carta”.

Risparmiando questo 18% di spese extra – e tra l’altro il personale interinale è gravemente penalizzato dal punto di vista contrattuale perché non  gode delle prerogative dei loro colleghi “stabili”, ma anche economico perché la loro retribuzione su base oraria arriva anche solo a 7 euro l’ora se non, a volte, meno – si risparmierebbero in tutto circa 44 milioni (gli interinali sono circa 7mila e sono concentrati soprattutto tra il personale non dirigente, quindi con una media di costo annuo di circa 35mila euro).

Questa somma – spiega la presidente FNOPI – sarebbe sufficiente per la loro stabilizzazione, recuperando anche la dignità professionale che meritano in quanto infermieri, che paradossalmente potrebbe avvenire quindi a costo zero, ma i restanti 50 milioni sarebbero sufficienti, sempre basandosi sulle retribuzioni medie, per circa 1.500 infermieri oppure per poco meno di 2.200 specializzandi in medicina (il problema maggiore dei medici è quello delle specialità).

O per un mix delle due voci che riducendo i numeri non risolverebbe il problema né agli uni – gli infermieri hanno una carenza ormai consolidata di circa 53mila unità – né agli altri – i medici indicano una carenza di specialisti che nel 2025 raggiungerà le 16.500 unità – senza ovviamente contare l’effetto di Quota 100 che nel brevissimo periodo si traduce in una ulteriore carenza di almeno 22mila infermieri e 4.500 medici, volendo credere e sperare che questi professionisti siano subito rimpiazzati con giovani colleghi”.

Negli anni a venire – sottolinea ancora Mangiacavalli – la situazione crescerà (anche se si ridurranno ad esempio gli interinali se tutto dovesse funzionare e quindi la quota di risparmio che da questi deriva sarà riassorbita) e a fine periodo i 225 milioni di aumenti nei tre anni potrebbero trasformarsi in 6.800 infermieri in più o in 9.700 specializzandi o anche in un mix tra i due ad esempio di 5.000 infermieri in più e 2.600 specializzandi. Che con l’effetto del recupero degli internali raggiungerebbero in tutto circa 13-14mila unità di personale. Ancora insufficienti però a coprire le carenze macroscopiche vecchie e nuove.

“Ecco perché – conclude – bene se verrà rivisto il tetto di spesa, ma sarà necessario assolutamente anche lo sblocco totale e ragionato del turn over in tutte le Regioni, comprese quelle in piano di rientro (le più colpite dalla carenza di organici), una riorganizzazione efficiente ed efficace dei servizi sanitari regionali basata sull’innovazione dei modelli organizzativi e sulla valorizzazione delle competenze infermieristiche e naturalmente da una programmazione seria e rigida premessa da un censimento reale del chi fa cosa, senza i quali la prima misura, come oggi concepita, rischia di essere solo un placebo”.